1. Introduzione ai concetti di campo e matrice nella teoria gruppo-analitica Il concetto di campo, nato dalle osservazioni sulle dinamiche di gruppo a partire da K. Lewin (Gaburri, 2004), in psicoanalisi viene esplorato per la prima volta dai coniugi Baranger (1961-61), inteso quale campo bi-personale, elemento terzo alla coppia analitica avente qualità e dinamiche indipendenti. Il campo da loro teorizzato si struttura su tre principali livelli: un livello più formale, riguardante il setting; un secondo inerente aspetti dinamici dell’interazione e del contenuto manifesto; un terzo livello corrispondente all’aspetto funzionale di integrazione e insight rispetto alla fantasia inconscia bi-personale, quest’ultima intesa quale oggetto specifico dell’analisi (Neri, 2007). In Italia il concetto di campo si è espresso principalmente attraverso il lavoro di F. Corrao, teorizzato quale funzione primaria del gruppo, sia “medium” comunicativo che atmosfera o clima emotivo in grado di incidere sull’interazione stessa (Gaburri, 2004). Claudio Neri (2007) propone un’accurata analisi del concetto di campo in ambito psicoanalitico, confrontandolo con altri concetti ad esso simili seppur solo parzialmente corrispondenti. Riprendendo le formulazioni di Bleger (1966, 1970), propone il concetto di campo come un pool trans-personale in cui vengono depositate, dai membri della coppia o del gruppo, emozioni, sensazioni e parti scisse di sé (Perrotti, 1983), giungendo quindi a creare una mescolanza di elementi eterogenei che non rappresenta più né i singoli partecipanti né la loro relazione, ma che influisce su entrambi. Neri sottolinea come il campo possa addirittura prescindere la relazione, prendendone il posto nel caso in cui essa sia venuta a mancare o prima che si stabilisca (Neri, 2007). Un gruppo od una coppia producono un campo e da esso ne vengono influenzati, similmente a quanto proposto dal concetto di terzo analitico (Ibid.). Le caratteristiche del campo possono mutare spontaneamente o per intervento (volontario o meno) delle persone che vi partecipano; ciò fornisce all’analista una rappresentazione del percorso che il paziente o il gruppo stanno facendo. Nella psicoterapia di gruppo il campo è appunto co-creato dall’analista e dai membri, e i fenomeni che si manifestano sono propri del gruppo. Neri (Ibid.) propone un legame stretto tra il concetto di campo nella psicoterapia di gruppo ed il concetto bioniano di “Evoluzione in O”, ipotizzando l’esistenza di due nuclei presenti e attivi nel campo analitico: il primo relativo a fantasie preconsce elaborabili attraverso un processo conoscitivo (la “Trasformazione in K” di Bion); il secondo composto invece da fantasie prive di forma, seppur intense, non conoscibili direttamente bensì attraverso ciò che Bion (1970) definisce “Evoluzione in O”, evoluzione di ciò che è ignoto (Neri, 2007). Risulta necessario quindi, per permettere che essa abbia luogo, che l’intervento del singolo membro nel gruppo venga compreso dall’analista abbandonando un approccio divisivo e classificatorio (Ibid.). Foulkes (1973) riconosce l’esistenza di una matrice mentale sovrapersonale, all’interno dei gruppi di analisi di gruppo, che permette ai singoli membri di comunicare e comprendersi vicendevolmente. Seppur sconosciuti, i membri del gruppo condividono, per il semplice fatto di appartenere alla stessa specie, quella che l’autore chiama matrice mentale fondamentale (o matrice di fondazione). A questa si aggiunge, grazie ad una conoscenza più intima e approfondita dei partecipanti, una cornice dinamica “in costante movimento e sviluppo” (ivi., p. 228). Secondo l’autore, sono i processi mentali, non i singoli individui, ad interagire tra loro, tramite un’interazione appunto, istintiva, intuitiva ed inconscia. Il gruppo terapeutico, nella sua composizione, permette in modo ottimale di osservare i membri che vi partecipano come un intero; tale situazione di gruppo pone in evidenza l’interazione interna, superando i confini di ciò che comunemente viene considerato intrapsichico, mostrando invece il suo essere condiviso da tutti (ivi., p. 230). Il gruppo viene concepito da Foulkes come “una vera e propria entità psicologica” (1964, p. 77); in questo contesto, la matrice ne costituisce il quadro di riferimento, entro e attraverso cui si muovono umori, affetti, rappresentazioni e comportamenti collettivi (Neri, 2007). Neri (Ibid.) considera Foulkes tra gli autori che per primi hanno introdotto il concetto di campo nel contesto psicoanalitico e gruppo-analitico. Foulkes (1973) infatti, nella prospettiva dell’analisi di gruppo, ritiene che tutti i processi di interazione tra i membri del gruppo avvengano all’interno di un campo mentale unificato di cui essi ne fanno parte; questa rete assume le fattezze di un sistema psichico nel suo complesso. La mente, in questo senso, non è limitata al singolo individuo, ma estesa a tutti coloro che entrano a far parte del campo (Ibid.). 2. Lo sviluppo tematico spontaneo Silvestri e Ferruzza (2012) nel loro lavoro sul pensiero di Ferdinando Vanni, riportano l’esistenza di invarianti fenomenologiche del gruppo, intese, (similmente alla matrice istituzionale teorizzata da Foulkes, n.d.a.), quali struttura linguistica di fondo, appartenente a ciascun individuo, che ne permette lo sviluppo delle interazioni. Partendo da tale concezione, il gruppo assume una particolare definizione: basta infatti che vi siano quattro persone o più, presenti nel medesimo luogo e in grado di comunicare attraverso tutti i quattro canali comunicativi disponibili (verbale, mimico volontario e involontario, viscerale) affinché abbiano luogo tutti quei fenomeni automatici ed inconsci propri del gruppo (ibid.). Verranno quindi distinti due livelli del fenomeno gruppo, uno automatico, involontario e inconsapevole (dimensione protogruppale), ed un livello istituito (il gruppo si istituisce mediante l’identificazione di uno scopo comune e condiviso – dimensione istituita del gruppo). Vanni (1990) ha denominato sviluppo tematico spontaneo quella componente del processo di gruppo prodotta dall’interazione dei suoi membri. Cercando di analizzare le leggi specifiche che regolano la comunicazione all’interno del gruppo, ha identificato il “tema” quale elemento fondamentale al di sotto del quale, se la comunicazione viene ulteriormente frammentata, si perde la dimensione gruppale, rimanendo solo le comunicazioni individuali (Silvestri & Ferruzza, 2012). Il tema è formato da apporti individuali (eventi interpersonali di natura comunicativa) che congiuntamente vanno a costituire un’entità più grande è più complessa rispetto alla mera somma degli stessi (Ibid.). Il tema risulta quindi essere la particella elementare minima, simultaneamente prodotto individuale ed entità di gruppo. L’individuo all’interno di un gruppo non può esserne considerato la componente più semplice, in quanto verrebbe a mancare il fenomeno interattivo e comunicativo, caratteristica essenziale del gruppo, per potersi definire tale. Seguendo la teorizzazione di Vanni, il gruppo risulterà quindi parimenti ad un insieme di temi. Durante il processo interattivo e comunicativo sono sempre presenti più temi, e l’articolazione dei temi tra loro costituisce il processo di gruppo, quale sviluppo propositivo, o sviluppo tematico spontaneo (Vanni, 1984; Vanni e Sacchi, 1992). Il terapeuta, osservatore del e nel gruppo, ha quindi il compito di favorire lo sviluppo tematico spontaneo, astenendosi dal veicolarne il processo, per poter cogliere il progetto comune inconscio di gruppo, ossia all’ipotesi attuale che il gruppo ha formulato su sé stesso (Vanni e Sacchi, 1992). 3. La dimensione onirica e il dreamtelling Partendo da una concezione del gruppo come precedentemente esposta, alla luce dei concetti di campo e matrice, il sogno non viene più considerato come un testo da decifrare, bensì come una prima espressione di vissuti personali, che vanno incontro a modifiche e trasformazioni attraverso il racconto in seduta e la condivisione con i membri del gruppo e l’analista (Friedman, 2002, in Neri, 2007). Secondo Robi Friedman (1999) il racconto del sogno all’interno del gruppo è considerato quale funzione intersoggettiva che permette di elaborare anche conflitti psichici ritenuti intollerabili, producendo sia una trasformazione delle relazioni che dello psichismo individuale. La condivisione di un sogno può essere dettata da una duplice funzione: dall’esigenza (inconscia) di rappresentare il sé (Neri, 1995) e dalla possibilità di “utilizzare” gli altri significativi, quali contenitori esterni, per permettere di elaborare il sogno. Nei gruppi è ben presente il meccanismo dell’identificazione proiettiva (Rafaelsen, 1996), il quale permette che le emozioni intollerabili per il singolo vengano scisse dal sé (Faribaim, 1963) e proiettate su coloro che ascoltano (tra cui anche il conduttore), affinché possano essere fatte risuonare (parimenti al processo di rêverie). Secondo Friedman (1999) il gruppo ha la funzione di “fornire tante madri” (p. 3) per le emozioni evacuate. Inoltre il sogno, secondo Ogden (1996, p. 896) generato all’interno dello spazio del sogno analitico intersoggettivo, non presenta contenuti provenienti unicamente dal singolo, bensì dettati ed indotti dal gruppo. In tal senso il racconto del sogno può aiutare il gruppo e la vita psichica di tutti i partecipanti (Friedman, 1999). Secondo Gaburri (1999, p.1) il sognatore svolge la funzione di “avamposto osservativo” per l’insieme gruppale, ed i sogni costituiscono una “prima traccia di esplorazione della galassia dei pensieri non pensati” (1) del gruppo (ivi., p. 3). Il gruppo ha la capacità di supportare il singolo, nella sua soggettività, riconoscendo la pertinenza che i suoi sogni hanno con eventi e pensieri dell’insieme gruppale. Gaburri (Ibid.) propone un’interessante analogia tra i miti, per il sociale, ed i sogni, per il gruppo: i miti nascono e si sviluppano per segnalare mutamenti del contesto sociale e culturale, così come i sogni ed i racconti onirici, nei gruppi di psicoterapia, indicano e sottolineano eventi in grado di produrre nuovi significati, per l’insieme gruppale e per i singoli appartenenti. 4. Conclusioni Nell’ottica di quanto precedentemente affrontato, emergono importanti considerazioni rispetto al ruolo dell’analista all’interno del gruppo di psicoterapia. Egli è parte integrante e generativa del campo gruppale, tanto quanto gli altri membri del gruppo, e funge anche da osservatore, riprendendo il pensiero di Vanni, contribuendo in tal modo a ciò che viene da lui stesso osservato. Il fulcro dell’osservazione risulta quindi essere sia l’interazione presente che il senso attribuitogli dal gruppo (Silvestri & Ferruzza, 2012). Il terapeuta si muove tra la rinuncia alla conduzione del processo di gruppo e lo sforzo atto a non esserne completamente assorbito, mantenendo quindi la sua funzione terapeutica, in grado di permettere l’evoluzione spontanea del gruppo (Ibid.). Come durante lo sviluppo tematico spontaneo il terapeuta si deve astenere dal favorirne o indirizzarne i contenuti, così anche per il sogno e il racconto di esso all’interno del gruppo di psicoterapia, è necessario che il terapeuta non saturi il processo con le proprie interpretazioni. Come riporta Gaburri (1999) il concetto di campo apporta diverse modifiche alla metapsicologia tradizionale, in cui giocano il controtransfert, la neutralità dell’analista e l’interpretazione. La funzione dell’analista deve essere “adeguatamente astinente ma effettivamente in contatto con il campo emotivo” (ivi, p. 3), e l’astinenza interpretativa permette che il sogno narrato riecheggi e risuoni nei partecipanti, e che possa essere elaborato all’interno del processo gruppale.
Note
(1) Gaburri, in “Costellazioni oniriche e campo gruppale” (2004) associa metaforicamente la configurazione del campo emotivo ad un insieme di corpi celesti, appartenenti ad una galassia. Nella galassia coabitano i pensieri non pensati, in uno spazio/tempo diverso dall’esperienza cosciente. La narrazione onirica, in tal senso, attraverso l’elaborazione gruppale, permette di cogliere delle “costellazioni di senso”, rilevanti rispetto agli eventi emotivi contingenti che permeano l’insieme gruppale e il rapporto individuo-gruppo. L’elaborazione delle narrazioni oniriche, e l’interazione affettiva che ne deriva, permette la sopracitata “evoluzione in O” bioniana.
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Bibliografia